Editoriale
Le basi del ciclo frigorifero oggi presente in moltissime applicazioni della vita quotidiana risalgono al 1834, quando Sadi Carnot, geniale scienziato francese, formulò le sue teorie sul ciclo termodinamico.
Il ciclo inverso di Carnot è ancora, quasi inalterato, il principio di base del frigorifero di casa, del deumidificatore, dello split che ci tiene fresco in estate, del condizionatore dell'automobile, delle centrali elettriche, delle sale dei Server e perfino delle centrali atomiche.
Sostanzialmente la natura di questa innovazione è rimasta invariata per quasi 200 anni, probabilmente grazie alla semplicità e all'affidabilità del ciclo stesso.
Durante tutto il 19° secolo i cicli inversi, compreso quello di Carnot, erano realizzati con fluidi "naturali": acqua, ammoniaca, anidride solforosa, anidride carbonica, eteri. La Linde, ad esempio, cominciò ad utilizzare cicli frigoriferi con protossido d'azoto, etano e propano, tutti fluidi naturali. Per molti anni la tecnologia del freddo ha quindi utilizzato refrigeranti con diverse caratteristiche termodinamiche, ma sempre "naturali".
Successivamente, con il nascere del ventesimo secolo, l'enorme richiesta di unità di condizionamento e refrigerazione ha fatto esplodere il mercato, ma soprattutto ha introdotto l'utilizzo di questi prodotti, prima diffusi solo nel settore industriale, anche in ambito civile. Proprio a seguito di questo passaggio sono emerse problematiche riguardanti la natura stessa di questi fluidi naturali, come ad esempio le pressioni di lavoro troppo elevate, i pericoli legati all'eccessiva infiammabilità e tossicità, che rendevano questi gas troppo pericolosi e quindi poco adatti al mercato di massa.
Per superare queste problematiche il mercato ha cominciato a ricercare fluidi più facilmente gestibili, meno pericolosi e non da ultimo più costosi. Negli anni '30 la Frigidaire propose nuovi refrigeranti, che consentivano una maggiore sicurezza d'uso, pur mantenendo proprietà termodinamiche simili a quelle dei refrigeranti naturali.
È dunque durante il terzo decennio del '900 che fanno la comparsa sul mercato i primi fluidi clorurati: R11, R12 e, successivamente l'R22 e l'R502. Da questo periodo in poi per i cicli frigoriferi si sono sempre utilizzati fluidi stabili chimicamente, con buone proprietà termodinamiche, non tossici e non infiammabili. Gli elementi chimici che hanno potuto garantire tali requisiti sono il cloro e il fluoro, entrati a far parte in gran quantità nella composizione dei CFC e degli HCFC. Questa scelta, effettuata molti anni fa, sta per essere rivista, a causa degli effetti secondari di questi composti, che hanno contribuito a causare due dei fenomeni antropologici più devastanti a livello ambientale: il cosiddetto buco nell'ozono e l'effetto serra.
La storia dei refrigeranti presenta quindi una peculiarità: si è passati dai refrigeranti naturali a quelli sintetici, per poi tornare - o almeno così si suppone avverrà - nuovamente a quelli naturali. Da anni ricercatori, universitari, comitati, aziende ed enti pubblici stanno cercando di risolvere il problema dei refrigeranti in relazione agli effetti sul buco nell'Ozono e sull'effetto serra. Effetti che ormai sono noti e dimostrati nei loro effetti negativi.
Ancora una volta l'uomo ha capito che ciò che aveva creato stava causando danni all'ambiente: la soluzione di un problema, o meglio, il tentativo di seguire "la via più facile", ha generato un problema più grande. Da tutto questo è nata la ricerca dei refrigeranti del futuro. Questi refrigeranti dovranno innanzi tutto essere rispettosi per l'ambiente, sicuri, disponibili ed economici. Il mercato, spinto dalla legislazione si sta muovendo: la direzione è certa, le scelte importanti saranno prese a breve.
Ing. Nicola Bettio
Resp. UTP Enerblu