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Finte Partite IVA: da Gennaio partono i controlli a tappeto
La Legge Fornero non si applica però ai professionisti iscritti all’albo. Giovani ingegneri e architetti continuano quindi a non avere nessuna tutela, i giovani talenti italiani scelgono di lavora all’estero.

La seconda fase della riforma Fornero, che dovrebbe (almeno sulla carta), limitare l’uso improprio della partita IVA per tutti coloro che in realtà sono dipendenti di aziende o studi professionali - le cosiddette ‘false partite IVA’ - viene applicata dal primo gennaio 2015. La Legge Fornero, in vigore in realtà da luglio 2012, prevedeva infatti un “periodo cuscinetto”, per consentire agli imprenditori di mettersi in regola, imponendo, fino al 31 Dicembre 2014, di non eseguire accertamenti sulla legittimità dei rapporti di lavoro regolati con partita IVA.
Dal 1° gennaio sono scattati dunque i “controlli a tappeto” (o almeno così promette il ministero del lavoro), contro imprenditori e professionisti che continuano a non essere in regola, imponendo ai loro non-dipendenti di aprire una partita IVA, privandoli in questo modo di qualsiasi garanzia e tutela. Bisogna aggiungere inoltre che i non-dipendenti, in particolare quelli sotto i 40 anni, ricevono spesso (al netto delle trattenute) cifre ben più basse di quelle previste dai contratti nazionali.
Peccato però che questa legge escluda tutti i professionisti iscritti ad un ordine (quindi anche architetti ed ingegneri), garantendo così al sistema di potersi preservare quasi intatto: in altre parole, per un giovane architetto o ingegnere iscritto all’albo, nei fatti, non cambia proprio nulla.
Cosa fare, dunque? Cancellare la propria iscrizione all’albo? Assolutamente no.
Studi e aziende, proprio a seguito dell’emanazione della legge Fornero, pretendono ormai di “assumere”, per cifre che raramente superano i 1000€ al mese, solo giovani professionisti iscritti all’albo, per poterli comunque inserire come “falsa” partita IVA quando in realtà, nella maggior parte dei casi, svolgono a tutti gli effetti un lavoro dipendente.
In questo modo non solo non è - nei fatti - cambiato nulla, ma si è anche rinvigorito quel sistema opaco e tutto italiano che alimenta corporazioni e università (le stesse università che spesso occupano nelle graduatorie internazionali posizioni imbarazzanti per un paese europeo, con ben poche eccezioni). Come a dire, insomma, “oltre al danno la beffa”, almeno per chi è laureato, ha meno di 40 anni e tenta di costruirsi una vita in Italia.
Ma la legge non manca di offrire scappatoie anche per chi non è iscritto ad un ordine professionale. La presunzione di un contratto di collaborazione continuativa non si applica infatti nemmeno nel caso in cui il lavoratore possiede “competenze teoriche elevate” o particolari capacità pratiche e tecniche. In questo caso potrebbe essere semplice per un datore di lavoro dimostrare che il proprio non-dipendente possiede queste capacità.
Perché il rapporto di lavoro sia considerato di tipo subordinato, quindi, il non-dipendente non deve essere iscritto a nessun albo o lista professionale, devono inoltre verificarsi almeno due delle seguenti condizioni:
Se a questo aggiungiamo i dati diffusi pochi mesi fa da Inarcassa, secondo cui un terzo degli ingegneri e architetti in italia vive sotto la soglia di povertà, la situazione appare tutt'altro che rosea. In questo contesto non sorprendono quindi i dati sull’emigrazione dei giovani italiani, un vero e proprio esodo, che ha registrato nel 2013 un +71,5%, con un emigrante su due di età compresa tra i 30 e i 40 anni e un totale di 100.000 giovani espatriati. I giovani talenti italiani quindi - o almeno quelli che possono permetterselo - scelgono di cercare fortuna in altri paesi: primo tra tutti la Gran Bretagna, seguito da Germania, Svizzera, Francia e Argentina.
Dal 1° gennaio sono scattati dunque i “controlli a tappeto” (o almeno così promette il ministero del lavoro), contro imprenditori e professionisti che continuano a non essere in regola, imponendo ai loro non-dipendenti di aprire una partita IVA, privandoli in questo modo di qualsiasi garanzia e tutela. Bisogna aggiungere inoltre che i non-dipendenti, in particolare quelli sotto i 40 anni, ricevono spesso (al netto delle trattenute) cifre ben più basse di quelle previste dai contratti nazionali.
Peccato però che questa legge escluda tutti i professionisti iscritti ad un ordine (quindi anche architetti ed ingegneri), garantendo così al sistema di potersi preservare quasi intatto: in altre parole, per un giovane architetto o ingegnere iscritto all’albo, nei fatti, non cambia proprio nulla.
Cosa fare, dunque? Cancellare la propria iscrizione all’albo? Assolutamente no.
Studi e aziende, proprio a seguito dell’emanazione della legge Fornero, pretendono ormai di “assumere”, per cifre che raramente superano i 1000€ al mese, solo giovani professionisti iscritti all’albo, per poterli comunque inserire come “falsa” partita IVA quando in realtà, nella maggior parte dei casi, svolgono a tutti gli effetti un lavoro dipendente.
In questo modo non solo non è - nei fatti - cambiato nulla, ma si è anche rinvigorito quel sistema opaco e tutto italiano che alimenta corporazioni e università (le stesse università che spesso occupano nelle graduatorie internazionali posizioni imbarazzanti per un paese europeo, con ben poche eccezioni). Come a dire, insomma, “oltre al danno la beffa”, almeno per chi è laureato, ha meno di 40 anni e tenta di costruirsi una vita in Italia.
Ma la legge non manca di offrire scappatoie anche per chi non è iscritto ad un ordine professionale. La presunzione di un contratto di collaborazione continuativa non si applica infatti nemmeno nel caso in cui il lavoratore possiede “competenze teoriche elevate” o particolari capacità pratiche e tecniche. In questo caso potrebbe essere semplice per un datore di lavoro dimostrare che il proprio non-dipendente possiede queste capacità.
Perché il rapporto di lavoro sia considerato di tipo subordinato, quindi, il non-dipendente non deve essere iscritto a nessun albo o lista professionale, devono inoltre verificarsi almeno due delle seguenti condizioni:
- La collaborazione deve avere una durata maggiore di 8 mesi nell’arco dell’anno, per almeno due anni consecutivi (in questo modo risulta facile assumere lavoratori sottopagati per un solo anno e sostituirli in seguito con altri neo-laureati);
- La fatturazione deve essere per almeno l’80% eseguita alla stessa azienda, o ad aziende riconducibili ad un unico centro di interesse;
- Il collaboratore deve possedere una postazione fissa di lavoro (anche in questo caso sembra sospetta l’introduzione dell’aggettivo qualificativo “fissa”).
Se a questo aggiungiamo i dati diffusi pochi mesi fa da Inarcassa, secondo cui un terzo degli ingegneri e architetti in italia vive sotto la soglia di povertà, la situazione appare tutt'altro che rosea. In questo contesto non sorprendono quindi i dati sull’emigrazione dei giovani italiani, un vero e proprio esodo, che ha registrato nel 2013 un +71,5%, con un emigrante su due di età compresa tra i 30 e i 40 anni e un totale di 100.000 giovani espatriati. I giovani talenti italiani quindi - o almeno quelli che possono permetterselo - scelgono di cercare fortuna in altri paesi: primo tra tutti la Gran Bretagna, seguito da Germania, Svizzera, Francia e Argentina.