Speciale 72
Le ultime innovazioni tecnologiche e normative per le pompe di calore
Alcuni contenuti di questo speciale:
Articolo
di Ing. Isacco Simion
Stato dell’arte sulle pompe di calore: tecnologie, innovazioni e accorgimenti
Con l’introduzione delle direttive europee, di leggi e norme italiane che promuovono, giustamente, e impongono l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, il mercato delle pompe di calore ha iniziato ad espandersi. Ne porta un contributo anche l’introduzione, seppur in via sperimentale, della tariffa elettrica D1, in vigore dal 1 luglio, rivolta ai clienti domestici che utilizzano pompe di calore elettriche come unico sistema di riscaldamento dell’abitazione di residenza.
Ma facciamo un passo indietro: la pompa di calore è, per definizione, una macchina in grado di trasferire calore da una sorgente a bassa temperatura ad un pozzo a temperatura superiore. Per far questo, necessita di energia, ma in quantità inferiore rispetto a quella che trasferisce sotto forma di calore. Essa sfrutta infatti il calore gratuito immagazzinato nella sorgente fredda (aria, acque superficiali, falde acquifere sotterranee, terreno). Per questo motivo, con la direttiva europea 2009/28/CE (detta anche Direttiva RES – Renewable Energy Sources), le pompe di calore sono state riconosciute come tecnologie che impiegano fonti energetiche rinnovabili.
La stessa direttiva, recepita in Italia dal D.Lgs. 28/2011, fissa gli obiettivi nazionali obbligatori per l'anno 2020 per quanto riguarda la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo lordo di energia.
Il Piano di Azione Nazionale per le energie rinnovabili si pone come fine lo sfruttamento di energia rinnovabile nel 2020 almeno pari a 22600 ktep, di cui il 13% (2900 ktep) è assegnato alle pompe di calore per il riscaldamento invernale degli edifici.
La ricerca di nuove soluzioni per il miglioramento dell'efficienza energetica delle macchine e quindi per l'utilizzo sempre maggiore di FER (Fonti Energetiche Rinnovabili) deve anche considerare le esigenze dei diversi campi di utilizzazione, le diverse potenze in gioco, le temperature delle sorgenti, ecc.
Cerchiamo allora di analizzare, almeno in parte, lo stato dell'arte delle diverse tipologie di pompe di calore e degli accorgimenti per migliorarne l'efficienza energetica.
A differenza del più comune ciclo frigorifero delle macchine elettriche derivato dal ciclo teorico di Carnot, il ciclo ad assorbimento sfrutta l'aumento di pressione ottenuto mediante un generatore a gas che scalda la soluzione refrigerante / assorbente innescando così il ciclo. Si introducono così le fasi di generazione e assorbimento in luogo della fase di compressione.
In breve, in seguito alla generazione si ha una fase di condensazione e di evaporazione, cui segue l'assorbimento del fluido refrigerante nel fluido assorbente con sviluppo di calore. Quest'ultima fase di assorbimento è costituita da una reazione chimica esotermica (con sviluppo di calore) dovuta alle caratteristiche dei composti.
La fase di assorbimento consente quindi di ridurre il fabbisogno energetico della macchina, limitando i consumi di combustibile e rendendo l'efficienza poco sensibile alla temperatura della fonte rinnovabile di energia, che sia l'aria, l'acqua o il terreno.
Questo comporta che le pompe di calore ad assorbimento possano essere utilizzate in climi più rigidi rispetto alle più comuni pompe di calore elettriche. Di contro, per le caratteristiche intrinseche del ciclo e dei componenti, sono meno efficienti quando utilizzate per il raffrescamento degli ambienti.
La miscela acqua – ammoniaca è la più comune, ma si utilizzano anche miscele acqua – bromuro di litio o acqua – fluoruro di litio, nelle quali è l'acqua il componente più volatile.
A differenza di una pompa di calore elettrica, la pompa di calore ad assorbimento:
Nei campi di utilizzo in cui sono richieste elevate temperature dell'acqua in uscita ed elevati salti termici tra circuito primario e secondario, si collocano nel mercato le pompe di calore ad anidride carbonica (CO2).
La CO2 è una sostanza naturale che possiede caratteristiche che la rendono particolarmente idonea ad essere utilizzata come refrigerante. È facilmente reperibile in natura, non presenta problemi di tossicità o di infiammabilità, possiede un indice ODP (potenziale di distruzione dell'ozono) nullo ed un indice GWP (potenziale di riscaldamento globale) molto più basso rispetto ad altri gas refrigeranti. Per quanto riguarda l'effetto serra, i quantitativi utilizzati anche in caso di un impiego a larga scala nelle pompe di calore, sarebbero comunque trascurabili se confrontati a quelli prodotti dai processi di combustione.
La peculiarità di questo refrigerante è che ha una temperatura critica di 31 °C, ben più bassa di altri fluidi refrigeranti. Nella maggior parte delle applicazioni civili, la condensazione avviene a valori di temperatura superiori a quella critica della CO2: si parla infatti di ciclo transcritico. In questi cicli, durante la fase di cessione di calore all’impianto, non si ha la condensazione della CO2, ma solo il raffreddamento di gas caldo all’interno di uno scambiatore detto gas cooler.
Ma facciamo un passo indietro: la pompa di calore è, per definizione, una macchina in grado di trasferire calore da una sorgente a bassa temperatura ad un pozzo a temperatura superiore. Per far questo, necessita di energia, ma in quantità inferiore rispetto a quella che trasferisce sotto forma di calore. Essa sfrutta infatti il calore gratuito immagazzinato nella sorgente fredda (aria, acque superficiali, falde acquifere sotterranee, terreno). Per questo motivo, con la direttiva europea 2009/28/CE (detta anche Direttiva RES – Renewable Energy Sources), le pompe di calore sono state riconosciute come tecnologie che impiegano fonti energetiche rinnovabili.
La stessa direttiva, recepita in Italia dal D.Lgs. 28/2011, fissa gli obiettivi nazionali obbligatori per l'anno 2020 per quanto riguarda la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo lordo di energia.
Il Piano di Azione Nazionale per le energie rinnovabili si pone come fine lo sfruttamento di energia rinnovabile nel 2020 almeno pari a 22600 ktep, di cui il 13% (2900 ktep) è assegnato alle pompe di calore per il riscaldamento invernale degli edifici.
La ricerca di nuove soluzioni per il miglioramento dell'efficienza energetica delle macchine e quindi per l'utilizzo sempre maggiore di FER (Fonti Energetiche Rinnovabili) deve anche considerare le esigenze dei diversi campi di utilizzazione, le diverse potenze in gioco, le temperature delle sorgenti, ecc.
Cerchiamo allora di analizzare, almeno in parte, lo stato dell'arte delle diverse tipologie di pompe di calore e degli accorgimenti per migliorarne l'efficienza energetica.
Pompe di calore ad assorbimento
A differenza del più comune ciclo frigorifero delle macchine elettriche derivato dal ciclo teorico di Carnot, il ciclo ad assorbimento sfrutta l'aumento di pressione ottenuto mediante un generatore a gas che scalda la soluzione refrigerante / assorbente innescando così il ciclo. Si introducono così le fasi di generazione e assorbimento in luogo della fase di compressione.
In breve, in seguito alla generazione si ha una fase di condensazione e di evaporazione, cui segue l'assorbimento del fluido refrigerante nel fluido assorbente con sviluppo di calore. Quest'ultima fase di assorbimento è costituita da una reazione chimica esotermica (con sviluppo di calore) dovuta alle caratteristiche dei composti.
La fase di assorbimento consente quindi di ridurre il fabbisogno energetico della macchina, limitando i consumi di combustibile e rendendo l'efficienza poco sensibile alla temperatura della fonte rinnovabile di energia, che sia l'aria, l'acqua o il terreno.
Questo comporta che le pompe di calore ad assorbimento possano essere utilizzate in climi più rigidi rispetto alle più comuni pompe di calore elettriche. Di contro, per le caratteristiche intrinseche del ciclo e dei componenti, sono meno efficienti quando utilizzate per il raffrescamento degli ambienti.
La miscela acqua – ammoniaca è la più comune, ma si utilizzano anche miscele acqua – bromuro di litio o acqua – fluoruro di litio, nelle quali è l'acqua il componente più volatile.
A differenza di una pompa di calore elettrica, la pompa di calore ad assorbimento:
- nelle fasi di sbrinamento non interrompe il riscaldamento degli ambienti, ma riduce solamente la potenza erogata;
- ha una capacità di raffreddamento nettamente inferiore alla potenza per il riscaldamento;
- riesce ad erogare acqua calda a temperature fino a 65°C;
- fornisce calore fino a temperature dell'aria esterna di -20°C, senza ausili di altri sistemi, con efficienza paragonabile a quella delle caldaie a condensazione.
Pompe di calore a CO2 (R744)
Nei campi di utilizzo in cui sono richieste elevate temperature dell'acqua in uscita ed elevati salti termici tra circuito primario e secondario, si collocano nel mercato le pompe di calore ad anidride carbonica (CO2).
La CO2 è una sostanza naturale che possiede caratteristiche che la rendono particolarmente idonea ad essere utilizzata come refrigerante. È facilmente reperibile in natura, non presenta problemi di tossicità o di infiammabilità, possiede un indice ODP (potenziale di distruzione dell'ozono) nullo ed un indice GWP (potenziale di riscaldamento globale) molto più basso rispetto ad altri gas refrigeranti. Per quanto riguarda l'effetto serra, i quantitativi utilizzati anche in caso di un impiego a larga scala nelle pompe di calore, sarebbero comunque trascurabili se confrontati a quelli prodotti dai processi di combustione.
La peculiarità di questo refrigerante è che ha una temperatura critica di 31 °C, ben più bassa di altri fluidi refrigeranti. Nella maggior parte delle applicazioni civili, la condensazione avviene a valori di temperatura superiori a quella critica della CO2: si parla infatti di ciclo transcritico. In questi cicli, durante la fase di cessione di calore all’impianto, non si ha la condensazione della CO2, ma solo il raffreddamento di gas caldo all’interno di uno scambiatore detto gas cooler.